Bene, ancora un mezza giornata e fino all'anno prossimo non si riprende qui al lavoro.
Credo che sarà lo stesso anche per questo spazio visto che il modem a casa è sempre rotto, per avere la sostituzione ho bisogno dell'ultima bolletta che non ho, a causa della scandalosa situazione delle poste a cuggiono (non mi arriva la posta da almeno un mese e mezzo perchè il postino della mia zona è stato ammalato e dopo settimane è arrivato il sostituto che "ci vorrà un po' di tempo per ambientarsi").
Pronto per un po' di giornate di estremo relax e al viaggio per lisbona, mi congedo con un breve racconto per le feste natalizie, un racconto di Mauro Corona
Alberi di Natale
Da bambino, quando s'avvicinava il tempo del Natale, mio nonno Felice Corona, classe 1879, baffi alla Francesco Giuseppe, altezza un metro e novanta, gran bevitore e fumatore di toscani, preparava con cura tutto ciò che serviva a onorare degnamente la Santa Festa. Le cotiche e le ossa del maiale penzolavano sotto la cappa del camino, affumicate al punto giusto, pronte per insaporire il minestrone di mezzanotte. Il ciocco che doveva scaldare il Bambin Gesù stava da mesi sotto la tettoia. Bitorzoluto, enorme, pulito dal terriccio, quasi sempre di carpino, aspettava in silenzio la sua ora. Veniva scelto e tirato fuori dalla terra in estate, in modo che avesse il tempo di stagionare bene. La legna per il caminetto, quella di uso immediato, si trovava perfettamente affastellata in grandi quantità lungo le pareti interne della vecchia cucina. L'altra, in cataste decisamente maggiori, la si ammucchiava sotto la tettoia e lungo le pareti esterne della casa. Per domare il freddo di un inverno occorrevano più di cento quintali di legna. L'inverno durava otto mesi, il resto era estate. Sotto il letto dei nonni, pronti per essere appesi all'albero, dormivano i prodotti della terra e del bosco. Noci, noccioline, mele cotogne, uva appassita. Era un'uva nera, aspra, piccola, che viene solo in alta montagna. Acini minuscoli come mirtilli, tanto acerbi da incollare la lingua al palato. Non era nemmeno lecito pensare di ottenere del vino abbordabile da quei grappoli ostili. Eppure qualcuno si illudeva e lo faceva, Celio ad esempio. E lo beveva pure, ma storceva la bocca. Tutte quelle cose buone assieme a patate e, quando capitava, qualche biscotto, venivano appese sui rami dell'albero. Esisteva anche un piccolo presepe di legno che mio nonno aveva acquistato in Val Gardena durante i suoi pellegrinaggi di venditore ambulante. Erano sette-otto statuine, solo le figure essenziali: Madonna, Bambin Gesù, San Giuseppe e un pastore con le pecore. Quei personaggi sono assenti da anni dalla vecchia casa, andati perduti chissà dove. La scelta dell'albero era una cosa seria. Il nonno prestava molta attenzione al periodo del taglio. Aspettava una certa luna. Un albero di natale, nella nostra casa, durava quattro, cinque anni e anche di più. Tagliato nella luna giusta, conservava il colore, il profumo e gli aghi anche per vent'anni. Dopo mesi e mesi, nemmeno a scuoterlo con forza lasciava cadere un ago. L'inverno arrivava molto presto. Già ai primi di novembre la natura e gli uomini ammutolivano serrati nella morsa del gelo. Quasi sempre a Natale nevicava. Una neve fitta, quieta, che seppelliva il paese. Emozionati, in silenzio, noi bambini guardavamo dalla finestra cadere i lenti fiocchi. Tra di essi passavano lontani i ricordi dell'estate. Prima della messa di mezzanotte scorrazzavamo lungo il paese. La neve cadeva lenta sulle vie, i passi non facevano alcun rumore. Passate le feste si riportava l'albero in soffitta, all'ombra dell'inverno, pronto per il Natale successivo. Per ottenere un albero natalizio di lunga durata, bisogna tagliarlo in luna crescente di novembre. Tale fase si verifica qualche volta anche a dicembre. Se tutti adottassimo questa semplice regola, non servirebbe sacrificare ad ogni Natale migliaia di pini e abeti. L'ideale sarebbe adottare un alberello di plastica. Ogni albero finto è un albero in più sottratto alla morte. Gli alberi sono ossigeno, la vita che respiriamo ce la danno loro. Mi sembra un valido motivo per amarli e proteggerli.
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